La malattia di un congiunto rappresenta uno dei momenti più critici per una famiglia. Essa mette in moto sentimenti intensi e contrastanti, quali insuccessi e sconfitte, disperazione e speranza, determinando la costante ricerca di nuovi equilibri e compromessi per giungere a un possibile adattamento. La comunicazione della diagnosi costituisce per il familiare uno dei momenti più dolorosi e spesso si sente solo mentre gli crolla il mondo addosso.
Quali sono le reazioni più frequenti dopo la diagnosi?
- La negazione: “No, non è possibile!”: la difficoltà ad accettare la situazione è data da un bisogno di proteggerci da un dolore molto forte illudendoci che quanto accade non sia vero. La diagnosi ci rende increduli e smarriti e ci fa sperare che si sia verificato un errore (i medici hanno sbagliato… non conoscono bene mia madre… capita a tutti di dimenticare… è tutta colpa della stanchezza/depressione…).
- La rabbia: “Perché proprio a me?”: è normale sentirsi vittime del destino e chiedersi perché non poteva andare altrimenti. La rabbia è un sentimento umano e comprensibile di fronte a questa diagnosi, ma è importante riconoscerla ed ammettere che esiste in noi, come reazione immediata a un evento grave. Tentare di reprimerla può far sì che essa esploda inaspettatamente.
- La disperazione: “E adesso come faccio?”: la malattia impone fin dal momento della diagnosi molti cambiamenti nella vita familiare, e non sempre è facile fare delle scelte fra le diverse ipotesi. È facile sentirsi disorientati, spaventati, disperati quando si è sopraffatti dalla paura di essere incapaci di affrontare le decisioni e ogni soluzione sembra inutile e inappropriata. Se riterremo di essere soli, di non avere nessuno che possa aiutarci, questa fase sarà particolarmente dolorosa.
- L’impotenza: “Non c’è nulla che io possa fare!”: si ha la sensazione di essere perdenti già in partenza e che qualunque cosa si farà non servirà a nulla. Questo atteggiamento ci impedisce di vedere le nostre potenzialità, mentre in realtà possiamo fare moltissimo per il benessere del malato cominciando da una presenza partecipe e da un atteggiamento positivo verso il futuro.
- Il senso di colpa: “Tutto ciò dipende da me!”: nelle diverse fasi della malattia possono esserci varie occasioni per cui si origina nei familiari un vissuto di colpa (il papà è malato perché gli ho dato un dispiacere… si è ammalato dopo la caduta e quando è caduto io non c’ero…). Il senso di colpa è un sentimento che può dipendere da una mancanza di informazione, ma spesso ha origine dal tipo di rapporto che si è creato con la persona malata. Risentimenti e dissapori, ora che il nostro caro è malato e bisognoso di cure, ci appaiono meschini e fuori luogo; diventa quindi facile autoaccusarsi di cattiveria. Inoltre non possiamo sempre prenderci cura del malato come vorremmo e questo ci fa sentire in difetto.
- Accettazione: spesso le 5 fasi appena descritte non si presentano in modo nitido e preciso ma si accavallano tra loro. Dobbiamo ricordare che sono reazioni normali ad un evento grave e dirompente che va a minare equilibri creati in anni e anni di vita familiare. Se durante queste fasi riusciremo a concederci del tempo, a non isolarci, a condividere anzi le nostre emozioni con altre persone, a chiedere aiuto e informazioni sulla malattia, potremo arrivare a una sana accettazione della diagnosi e a un periodo di relativa serenità. Guarderemo con maggiore lucidità la situazione e avremo la possibilità di essere propositivi ed efficaci nella nostra assistenza al malato.
Credits: Immagine in evidenza © Photo by Associazione Malattia di Alzheimer Ovest Vicentino – Odv